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Siamo cresciuti insieme

Siamo cresciuti insieme, Furore e io. Sia pure con un comprensibile diverso destino. Io verso stagioni sempre più gravose e grigie, il paese nel solco di una notorietà ormai consacrata. C’eravamo conosciuti per caso, in un maggio di tanti anni fa (quaranta e passa), quando i napoletani cominciavano a muoversi in Seicento per le prime gite (si chiamavano ancora così) fuori città. Un fenomeno timido e discontinuo, dopo gli anni bui della guerra, che tuttavia annunciava una svolta nelle abitudini di gestire il giorno di festa.
E ad Arturo Assante, consumato cronista, prima che responsabile de Il tempo di Napoli, la cosa non poteva sfuggire.
Punta sui paesi meno conosciuti. Allarghiamo il discorso. Non c’è solo Amalfi e Sorrento. Ma voglio storie, curiosità, personaggi. La gente deve muoversi sapendo perché…
Inizia così il mio tour in quelle realtà minori della Campania, che presentavano una qualche vocazione a questo turismo di piccolo cabotaggio. Già largamente accreditata dalle sue terme, Castellammare fu il nodo da sciogliere. Continuare lungo i centri della Costa, o abbandonarli a vantaggio dell’entroterra, seguendo magari l’antico tracciato borbonico che si avvita, tormentato ed imprevedibile fino ad Agerola?
Scelsi la via che sale ai Monti Lattari, a fatalmente mi trovai a Furore. Mi aveva incuriosito la veloce considerazione del sindaco Camillo Villani, all’uscita del municipio a Pianillo: – “Da qui fino ad Amalfi non c’è niente. Solo vigneti e terrazze. La punta di Bomerano è la nostra Eboli. Solo che da queste parti non c’è stato Levi”.
Raggiunsi quel confine di civiltà che era la Punta, e mai il termine panorama mi sembrò più appropriato: vedevo veramente tutto. Il mare infinito che sembrava a portata di mano ed è invece lontano chilometri, le poche case sparse in un’orgia di verde, il gioco dei tetti, qualche isolato campanile rivestito con maioliche di risulta. E, intorno, ad accompagnare l’andamento della strada, la maestà della roccia dolomitica, suggestiva e incombente. Cercai il paese. E lo cercai inutilmente. Furore era solo una targa malconcia dell’Anas. Niente Municipio, niente edificio scolastico, neppure l’ombra del più modesto spazio che facesse da punta di incontro. Nessun bar. Ripercorsi almeno due volte la strada fino al bivio di Conca sulla mia incerta Topolino, ma del paese nessuna traccia. Poi la scoperta di un’insegna a carattere di legno.
Con elementare geometrismo c’era scritto Bacco.
Il mio racconto potrebbe finire qui. E, invece, è da qui che ha inizio, perché entrare da Bacco segnò l’inizio del mio legame con Furore, che a onta degli anni, degli interessi e dei gusti che pure cambiano, non ha conosciuto né cedimenti né incertezze.
Bacco: una sala interna, le volte con decori semplici opere di un mastro che si dilettava di pittura ( per fortuna ancora lì a testimoniare la matrice della Casa), e una grande terrazza protetta a metà da un’incannucciata, pochi tavoli e in fondo il pollaio. Non avevo scelta, e mai questa limitazione si rivelò più fortunata. Don Andrea mi propose uno spaghetto “grillo” ( che per lui voleva dire al dente), e un mezzo pollo fritto. Chiesi intanto del paese (ma era tutto lì, in quella strada che portava ad Amalfi), della gente, di qualcosa che meritasse di essere vista, raccontata.
Una bambina, avrà avuto intorno ai dieci anni, apparecchiò e servì con grande cura. Mi colpì la sua grazia e il taglio degli occhi. “Mi chiamo Angelina. E voi?”?
Per Don Andrea non fu necessario fare domande. Esplose in uno sfogo irrefrenabile nel quale a ogni pausa non faceva che ripetere. “Scrivete, scrivete”. Per poi riprendere: “Niente, non c’è niente. Qui manca tutto: l’impianto per l’acqua, la luce per le strade, la scuola, il municipio, il cimitero”. Della lunga elencazione mi colpì l’assenza del cimitero. Di paesi del Sud che mezzo secolo fa mancassero quasi di tutto, era quasi la norma. Ma almeno il cimitero ce l’avevano. E invece, a Furore, mancava anche quello. Pensai che probabilmente si servivano del cimitero di Agerola, o di quello di Conca dei Marini, comune al quale Furore era stato accorpato fino al 1947. No, no – precisò Don Andrea – qui abbiamo le fosse carnaie.
L’espressione aveva una sua crudezza e non mancò di colpirmi. Stavo scoprendo un tipo di sepoltura anteriore all’istituzione dei cimiteri e a quel famoso editto di Saint Cloud che Napoleone estese all’Italia nel 1808. A questo punto Don Andrea Ferraioli non ebbe più spazio per rivendicare tutte le necessità del paese. Le fosse carnaie diventarono l’argomento principe, anche dopo l’arrivo del sindaco maestro, Vincenzo Florio, che come tutti i giorni aveva fatto scuola in una casa privata gestendo più classi in un unico ambiente. La posizione di centro-destra del Tempo, assai vicina a Florio, favorì l’avvio di una chiacchierata prima e di un’amicizia poi, mantenute vive per anni nel corso delle mie frequenti presenze a Furore.
Perché l’esistenza delle fosse carnaie a pochi km da Amalfi e ungo un percorso tra i più frequentati turisticamente, era per un giovane cronista una sorta di piccolo tesoro. Così tornai a Furore più volte, anche con Pino Castronuovo, reporter di grande bravura, e incontrai un giovanissimo Raffaele Ferraioli, fresco di studi e assetato di esperienze. L’amicizia che nacque e l’affetto che da anni ci lega credo abbia giovato non poco a tutti e due. Soprattutto a me.
E qui, per la seconda volta, questo mio amarcord potrebbe concludersi, ma sarebbe una testimonianza incompleta. Vincenzo Florio ( le spesse lenti da miope, il naso accentuato e rossiccio, le maniere da gentiluomo di campagna, una nostalgia non celata per gli anni ruggenti) non mi perdonerebbe questa rappresentazione mutilata di Furore.
Oltre trent’anni al timone del Comune non lo videro certo inattivo. Il paese ebbe una rete idrica, il suo bell’’edificio scolastico – che era stato il segno di tutta la sua vita di maestro – illuminazione stradale, cimitero.
Come avveniva per me, Furore cresceva e Florio diventava vecchio. Non tanto in senso fisico, quanto per un atteggiamento di rinuncia nel guardare lontano: una sorta di appagamento per quello che aveva realizzato, forse anche di compiacimento per la sua lunga leadership amministrativa ormai diventata mitica nel bellicoso paese della Costa d’Amalfi. E invece il destino di Furore muoveva proprio dalla nascita di queste strutture. E’ da qui che il paese doveva partire verso mete legittimamente più ambiziose. Ma Florio considerava i risultati raggiunti e utopia ogni ulteriore conquista. Era inevitabile, quindi, che passasse la mano a chi invece credeva fermamente nelle potenzialità di un territorio destinato a trasformare in carta vincente i lunghi anni di isolamento e di arretratezza. Sulla spinta di un convincimento ( che non è esagerato chiamare fede), nell’80 è Raffaele Ferraioli a vincere la tornata elettorale. Prima alunno, e poi a lungo assessore nelle varie giunte Florio, vinse il tormento di una decisione che spezzava un sodalizio di consuetudini e di affetto profondamente sentito. Anche in quell’occasione non disertai Furore. La campagna elettorale ebbe passaggi da manuale, progetti, priorità e scadenze per favorire il decollo più rapido del paese.
Intanto bisognava uscire dall’anonimato. Le bellezze naturali sono un patrimonio comune di tutta la Costa. Pensare a caratterizzarsi in quell’ambiente è pressochè impossibile, vista la notorietà degli altri centri, da Amalfi a Positano, a Ravello. Di qui la ricerca di un’iniziativa che desse un’identità a Furore, senza violentarne l’originaria fisionomia di borgo collinare. Sono nati così i “Muri d’Autore”, una galleria di opere all’aperto realizzate da artisti italiani e stranieri, in ogni caso di sicura notorietà. E poi la lunga battaglia contro l’inquinamento del Fiordo, la costruzione della Casa Comunale con la prima area di aggregazione sociale, il prolungamento della strada fino a S. Elia, il tracciato della “Via dell’Amore”, la strada che porta alla “Picola”.
L’elenco potrebbe continuare, ma risulterebbe sterile se non si tiene conto che ognuna di queste realizzazione ne innescava a sua volta altre, spesso più complesse delle prime. Valga per tutte il caso del Fiordo, che al suo ritorno all’originaria purezza ha visto seguire il recupero ed il restauro del suggestivo borgo, già scenario privilegiato di vari cineasti. O ancora la nascita del centro sportivo con campi da tennis e piscina olimpica , una proposta alternativa o meglio integrativa delle varie offerte avanzate dai centri costieri più accreditati. Un’iniziativa, anche in questo caso, che non si è esaurita con la realizzazione del Centro, ma ha comportato la nascita della Futura, una società a capitale misto per la gestione dei vari servizi.
In realtà ogni progetto ha finito per generarne altri, al punto da dar vita a un articolato sistema di interventi che può essere ricondotto sotto una formula assai cara al Sindaco Ferraioli: “ Non solo mare, non solo estate, non solo ospitalità” che è poi la strategia vincente del turismo in Costiera e la sola che i paesi collinari possono mettere in atto.
Fino agli anni Ottanta si attraversava Furore senza rendersene conto. Oggi il paese si impone all’attenzione anche nel turista più distratto. C’è una cura dei luoghi e una costante preoccupazione a volerli migliorare, da fare invidia all’intera Costa d’Amalfi, Sindaci compresi, naturalmente.

Nino D’antonio

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